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PFAS, the European Chemicals Agency calendar

Towards reduction in the production and use of PFAS

PFAS, the European Chemicals Agency calendar

PFAS, the European Chemicals Agency calendar L’Agenzia Europea delle Sostanze Chiche ECHA ha pubblicato il calendario di revisione delle condizioni di produzione e utilizzo dei PFAS, in base alla proposta avanzata da Norvegia, Svezia, Germania, Danimarca e Paesi Bassi – proposta che restringe il loro utilizzo alle condizioni ritenute essenziali, quali quelle ad esempio di protesi chirurgiche e di farmaci, laddove non ci sia disponibile una valida e sicura alternativa non fluorurata.

In particolare, l’attenzione è rivolta agli impieghi dei PFAS in beni di largo consumo e con un ciclo di vita breve.  
In tali condizioni, la produzione di rifiuti contenenti PFAS costituisce un problema e ostacola le politiche di sostenibilità legato al recupero di “rifiuti” appunto, in una ottica di economia circolare.
Questo potrebbe riguardare anche le acque “recuperate” dai depuratori civili per uso irriguo, i rifiuti della carta ad esempio utilizzabili quali lettiere compostabili negli allevamenti, e anche il recupero dei materiali a contatto con gli alimenti, per una loro “rigenerazione” e riutilizzo.

La valutazione delle proposte di restrizione in ambito REACH coinvolgono appunto 2 comitati differenti: 

  • il primo è indirizzato sulla valutazione di rischio (RAC), 
  • il secondo sulla analisi sociale ed economica delle restrizioni proposte (SEAC).
I due comitati dovranno valutare tutte le osservazioni – circa 5600 pervenute all’ECHA relative alla proposta di restrizione sopra indicata.

In questo mese di marzo si partirà con le scioline, con i cosmetici, e con altre miscele di PFAS presenti in prodotti quali detergenti, biocidi, lucidi, inchiostri, vernici. 
IL RAC si occuperà dell’identificazione dei pericoli, e il SEAC andrà a delineare l’approccio generale alla valutazione socioeconomica.

A giugno 2024 sono previsti incontri specifici sull’utilizzo di PFAS nell’industria dei metalli e nella galvanica, con una prosecuzione delle attività del RAC sui pericoli.

A settembre si prosegue con i settori più critici in termini di utilizzo e potenziale rilascio ambientale, quali il tessile e il calzaturiero (TULAC), gli imballaggi e i materiali a contatto con gli alimenti, e l’industria estrattiva.

Lo snodo importante è sulla restrizione alla produzione e utilizzo di fluoropolimeri
Fino ad ora il regolamento REACH non aveva considerato l’obbligo di registrazione dei fluoropolimeri (Teflon, ad esempio, ma non solo), ritenuti per le loro masse molecolari non bio-disponibili e quindi inerti.

Tuttavia, analizzando il ciclo di vita di tali fluoropolimeri, si evidenzia come vengano rilasciati PFAS nell’ambiente dai reagenti impiegati nella loro sintesi, dai prodotti intermedi di reazione (es monomeri non polimerizzati), dai composti utilizzati per favorire la polimerizzazione, e non da ultimo dalla progressiva degradazione, che può originare il rilascio di composti PFAS a corta catena.

In tutto questo, nonostante gli sforzi dell’industria e la disponibilità per alcuni settori di procedere ad una raccolta differenziata dei rifiuti fluoropolimerici, e loro termocombustione a temperature superiori gli 850 °C, il bilancio totale del fluoro sembra non tornare per circa il 15%, con rilasci ambientali nell’aria e nei corpi idrici che verosimilmente in larga parte rappresentato dall’acido trifluoroacetico. (TFA).

Il TFA, a breve, rientrerà nel computo dei PFAS totali per cui esiste un limite nelle acque potabili a 500 ng/L, e i monitoraggi ambientali indicano una sua crescente presenza. Data l’alta polarità, la sua rimozione dall’acqua risulta estremamente difficile e costosa.

Il confronto con l’industria si basa appunto sulla richiesta di non applicare restrizioni alla produzione ed utilizzo di fluoropolimeri.
Una idea dei PFAS legati a tale ciclo di produzione e alle relative emissioni è stata recentemente pubblicata in un articolo scientifico in cui si prendono in considerazione 5 impianti in Europa, di cui uno a Spinetta Marengo in provincia di Alessandria.

In maniera molto interessante e dettagliata vengono confrontate le Autorizzazioni Integrate Ambientali (AIA) e i dati riportati annualmente dalle aziende nel Registro Europeo delle Emissioni di Inquinanti e loro Trasferimento (E-PRTR).

Dal confronto emerge la complessità, e in alcuni casi la necessità di aggiornare le Autorizzazioni Ambientali, il che implica una ricerca ambientale e nel biota, di PFAS oltre quelli considerati nelle Autorizzazioni Ambientali.  
Anche in questo caso, tra AIA e Registro, sembra ci siano importanti discordanze sui volumi di PFAS rilasciati nell’ambiente, nell’ordine delle tonnellate/anno.  

La Commissione Europea ha intenzione nel prossimo futuro di aggiornare il registro Europeo delle Emissioni, rendendolo accessibile tramite un portale dedicato, e di indicare le migliori tecniche disponibili da tenere di riferimento per ridurre il rilascio.

Attualmente l’utilizzo dei fluoropolimeri può essere classificato in 15 differenti campi di applicazione, di cui non tutti hanno le caratteristiche di essenzialità, anche in relazione alla durata economica del bene prodotto.  Che i fluoropolimeri rilascino PFAS lo sanno molto bene i colleghi chimici, impegnati ad abbattere il segnale che arriva dai tubi di Peek, e dalle guarnizioni di Teflon, presenti nelle apparecchiature scientifiche.

Come non pensare che tale rilascio non possa avvenire anche dai fluoropolimeri usati come film negli imballaggi, o utilizzati come trattamento dei vestiti e/o dei materiali edili (pavimenti) a scopo antimacchia/impermeabilizzante?

Difficile pensare che ci possa essere una raccolta differenziata, ad esempio delle acque di lavaggio dei pavimenti, casomai con detergenti che a loro volta contengono PFAS. Da qui sembra abbastanza chiaro l’orientamento a una forte restrizione all’impiego di polimeri fluorurati nei beni di largo consumo.

Nel caso specifico di Spinetta Marengo, quale hot-spot specifico dovuto alla produzione di fluoropolimeri, c’è da domandarsi quale possa essere la loro mobilizzazione sui campi, nelle falde e nelle acque superficiali in seguito agli eventi alluvionali recentissimi che hanno colpito il Piemonte. 

Nel frattempo, la Regione sta ricevendo i dati del monitoraggio degli alimenti, mentre il piano di biomonitoraggio, su un campione di 125 cittadini prescelti, fatica a decollare per la bassa adesione all’iniziativa.

Ricordiamo che nello studio epidemiologico precedente del 2019 proposto dal Comune di Alessandria,  si è registrata una certa difficoltà nella disponibilità dei residenti a Spinetta Marengo a fare campionare l’acqua dei propri rubinetti.  Da domandarsi se i piani di indagine ambientale, alimentare e umana si basano sulle informazioni contenute nell’AIA del 2010, o si estendano anche ad altre evidenze contenute nella letteratura scientifica e nei registri delle emissioni.  Ne va di mezzo la credibilità delle istituzioni. (Fonte: Cristina Fortunati, https://www.sivempveneto.it/)
 

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