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Sostenibilità alimentare, il livello di consapevolezza degli italiani

Studio del CREA e Università Tor Vergata

Sostenibilità alimentare, il livello di consapevolezza degli italiani
Sostenibilità alimentare, il livello di consapevolezza degli italiani Uno studio pubblicato sulla rivista Nutrients sviluppato dal CREA e dai dipartimenti di matematica e di biologia dell’Università Tor Vergata di Roma si è occupato di indagare il livello di consapevolezza degli italiani rispetto alla sostenibilità in campo alimentare.

“Il concetto di sostenibilità delle scelte alimentari è ormai presente anche nelle linee guida per una sana alimentazione, e nell’ottica di offrire raccomandazioni è bene che ci si intenda e si capisca cosa intende il consumatore quando si parla di sostenibilità, un termine oggi diffuso e per certi versi anche abusato”, spiega la dottoressa Laura Rossi, ricercatrice del CREA e co-autrice dello studio.

Lo studio si è sviluppato a partire da un questionario proposto a un campione di 815 soggetti adulti rappresentativi della popolazione in termini di distribuzione geografica, genere ed età, ed è stato somministrato tramite l’agenzia di ricerca SWG Italia.

“Uno dei dati che è emerso in modo più evidente è che in Italia non si ritengono le proprie scelte alimentari tanto impattanti sull’ambiente, mentre sono altri gli aspetti che si considerano essere legati alla sostenibilità, come per esempio le emissioni delle industrie oppure la deforestazione.”

I risultati infatti hanno mostrato che nel 45% dei soggetti mancava consapevolezza delle conseguenze sull’ambiente delle proprie scelte alimentari.

Gli italiani contro lo speco

“Emerge però anche che il consumatore italiano si dichiara disponibile a fare delle scelte più sostenibili rispetto a tematiche come lo speco alimentare o l’acquisto di prodotti di stagione.
La riduzione dello spreco alimentare in particolare è quello che più viene citato (79%) come mezzo per aumentare la sostenibilità delle proprie scelte.
L’Italia ha infatti una tradizione di lotta allo spreco molto consolidata: la Legge Gadda per esempio è in vigore dal 2016. Forse questo atteggiamento verso lo spreco è dovuto a una certa sacralità assunta dal cibo nella nostra cultura più che da una preoccupazione verso l’ambiente, rimane però il fatto che l’attenzione al proprio impatto non manca.”


Un’attenzione che si declina anche sotto forma di richiesta di regolamentazioni: il 90% degli intervistati infatti ne vorrebbe l’introduzione da parte dei decisori politici.

“Tenendo conto che lo studio misurava le intenzioni e non il comportamento, si può affermare che ci sia una richiesta di regole. Siamo abituati a pensare al consumatore italiano come un po’ indisciplinato, invece emerge che chiede un’etichettatura chiara, delle condizioni normative che spingano verso prodotti più sostenibili e con un profilo nutrizionale più favorevole.
Quello su cui è cui è più resistente è la tassazione e quindi misure che vanno a incidere sul costo dei prodotti sono meno accettate, anche perché emerge la percezione che i prodotti più sostenibili siano già più cari.”

Sostenibilità alimentare e carne

Rispetto invece al tema della carne, il 51% degli intervistati coinvolti dallo studio ha dichiarato di averne ridotto il consumo ma di continuare a mangiarla, mentre il 27% non ha diminuito il proprio consumo e non intende farlo in futuro.
Ma tra le motivazioni di chi ne consuma meno troviamo soprattutto ragioni relative alla salute personale e all’etica animale, minore invece risulta la preoccupazione nei confronti dell’ambiente.

“È emerso che il consumatore italiano ritiene la carne molto importante (il 52% la ritiene necessaria per una dieta completa, il 36% per una dieta bilanciata), e alcuni la ritengono insostituibile per avere una dieta sana nonostante si sappia che è possibile averla anche senza la carne”, continua Rossi.
“Il fatto però che la diminuzione del consumo sia dovuto anche a ragioni di salute significa che in qualche modo è arrivato il messaggio proveniente dal mondo della nutrizione, anche perché emerge disponibilità ad alternare la carne con altri prodotti”

Rispetto alle alternative, dallo studio emerge che quelle preferite dalla popolazione italiana sono quelle che rientrano nella tradizione della dieta mediterranea (legumi, uova e pesce, rispettivamente preferiti dall’84%, l’82% e il 77% degli intervistati): “rispetto alla possibilità di sostituire la carne con altri prodotti è emersa la preferenza verso alimenti che già sono molto utilizzati e che fanno parte della nostra tradizione gastronomica e culinaria. Ecco perché la proposta di nuovi alimenti può essere fatta tenendo conto però che le abitudini alimentari cambiano molto lentamente.”

La diffidenza verso gli insetti

Rispetto invece alle alternative le cui radici si rintracciano in tradizioni di altre aree del mondo, come per esempio insetti o alghe, si riscontra un’accettabilità bassissima, ma non nulla: “Un terzo degli intervistati comunque si ritiene disponibile a provare le novità. Si riscontra resistenza soprattutto nei confronti degli insetti e dei prodotti derivati, tanto che la carne coltivata è leggermente più accettata (benché abbia bisogno ancora di accertamenti sulla sicurezza prima di essere introdotta sul mercato). In ogni caso ci vorrà del tempo prima che il consumatore accetti queste alternative, e questo è un dato da tenere presente”.

In generale, le persone che si sono dimostrate più aperte all’introduzione di nuovi alimenti sono quelle con un più alto livello di educazione, quelle con un reddito elevato e gli studenti.

Polpette e burger vegetali

Diversa è la questione per le alternative già presenti sul mercato, che “riscuotono un discreto successo, e si dimostrano accettate dal consumatore purché non siano OGM.
Anche in questo caso possiamo riscontrare una corrispondenza verso un argomento per cui in Italia c’è un’opinione pubblica forte.

” La questione del “meat sounding” (cioè il fatto che prodotti alternativi utilizzino parole legate al mondo della carne, come burger o polpette) inoltre non è percepita come un problema: solo il 19% degli intervistati proibirebbe l’utilizzo della parola carne per prodotti di origine vegetale.

“Visto l’interesse degli italiani verso etichettature chiare questo aspetto è sorprendente: i consumatori non sembrano essere particolarmente disturbati dal fatto che ci sia una terminologia tipica della carne per prodotti di origine vegetale”.

La presenza dei bambini in famiglia inoltre è risultato un fattore determinante per il consumo della carne: “Va considerato che le famiglie con bambini sono anche le famiglie che hanno meno tempo da dedicare alla sostenibilità, inoltre poiché molti consumatori vedono nella carne un elemento essenziale nella dieta è naturale che dei genitori trasferiscano questa concezione anche verso l’alimentazione dei propri figli”.

Sostenibilità alimentare in Italia e in Europa

Infine il consumatore italiano rispetto alla sostenibilità alimentare non sembra differire particolarmente da quello europeo: “Il BEUC, che è l’organismo che raccoglie le associazioni dei consumatori degli stati membri dell’Unione Europea ha lanciato un sondaggio simile, che ha coinvolto 11 Paesi europei analizzando 1.000 individui per Paese.

Tenendo conto delle differenze tra il sondaggio e lo studio (il nostro questionario è sviluppato per ottenere la validazione scientifica che poi dà valore a un dato), è comunque interessante vedere come il consumatore italiano non si discosti da quello europeo.

Permane per esempio l’avversione verso gli insetti, e la richiesta di regole e politiche sulla sostenibilità, che ci si attende provengano dall’Europa stessa. Sul primo punto si discosta solo l’Olanda, dove però il governo si sta già muovendo verso la produzione di carne sintetica e dove gli insetti sono già disponibili nei supermercati sotto forma di snack.”
(Fonte: Nadia Corvino, https://ilfattoalimentare.it/)

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