L’implementazione della blockchain nel Food: vantaggi e rischi

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L’implementazione della blockchain nel Food: vantaggi e rischi

La gestione dati è un tema che le filiere agroalimentari conoscono bene, infatti la corretta gestione di dati qualitativi e quantitativi è condizione sine qua non per dimostrare e assicurare al cliente (GDO e/o cliente, consumatore) la qualità, la food safety, la rintracciabilità e gli aspetti valoriali dei prodotti immessi in commercio.
I dati rappresentano l’elemento focale per dimostrare la conformità dei prodotti alle regole definite (disciplinari, capitolati di fornitura, accordi di filiera) e hanno una valenza nell’ambito del controllo / delle garanzie a terzi / della dimostrazione della due diligence. Dall’altro canto, però, è maturata la consapevolezza che i dati rappresentano un elemento fondamentale per raccontare la “storia” di un alimento al consumatore.

Stiamo assistendo quindi ad una evoluzione della gestione dei dati finalizzata non solo alla conformità per la certificazione ma anche e soprattutto indirizzata a comunicare in modo trasparente al consumatore.
Il “dato” quindi possiede una duplice valenza: permette il controllo e la garanzia di conformità ai disciplinari di riferimento, identificazione (potenzialmente anticontraffazione[1] e inoltre diventa strumento di comunicazione.

Parimenti all’evoluzione del concetto connesso alla disponibilità dei dati si è evoluta anche la modalità di gestire gli stessi: dalla carta (ancora troppo diffusa), ai sistemi informatici tradizionali, fino ad arrivare alla nuova frontiera della “digital transformation” che consente la gestione di dati attraverso ad esempio le tecnologie distribuite blockchain, IOT (internet of things) e IA (intelligenza artificiale).
La tecnologia a supporto delle aziende delle filiere è sempre più accessibile, disponibile e fruibile rispetto un tempo, ma richiede sempre maggiore competenza e consapevolezza.

Inutile negare che la tecnologia ha portato e porta ad una facilitazione dei rapporti, degli scambi, ad una velocizzazione delle comunicazioni e ad una ottimizzazione dei processi, ha però una velocità di evoluzione e di sviluppo enormemente superiore rispetto la capacità di apprendimento che hanno gli utilizzatori, per cui, a volte, può generare, in alcuni individui, i noti fenomeni di neofobia con il conseguente rallentamento del tanto agognato progresso.

Le filiere sono per loro natura strutturate, organizzate, vincolate, prevedono una pluralità di operatori ma anche di requisiti a supporto del prodotto, una variabilità di clienti, con esigenze diverse e con vincoli contrattuali diversi. In questi ultimi vent’anni il settore agroalimentare è pian piano passato da una logica di acquisti “aperta” in base a prezzo e qualità ad una logica più organizzata, in base ai requisiti valoriali da assicurare. Le filiere sono strutturate per fornire un prodotto con caratteristiche specifiche, dettate dalle esigenze del mercato, organizzate in maniera tale da assicurare il rispetto dei requisiti.
Il rispetto del requisito relativo alla valorizzazione non è lasciato al “caso” ma è organizzato attraverso le fasi di progettazione, programmazione, organizzazione e controllo della filiera.

I punti principali del modello organizzativo della filiera sono:
  • l’esistenza di un capofiliera che coordina la filiera a monte;
  • gli operatori che partecipano alla filiera sono qualificati dal capofiliera (la filiera è aperta ma gli operatori sono qualificati e solo quelli qualificati ne fanno parte);
  • fra gli operatori di filiera esiste un accordo di filiera che definisce obblighi e responsabilità oltre ai “requisiti” che devono essere rispettati (capitolati di fornitura);             
  • la gestione dei dati è generalmente distribuita fra i vari operatori della filiera, a supporto della conformità del prodotto, e sono sempre resi disponibili in fase di audit;
  • i dati in ogni caso sono accessibili solo per gli operatori della filiera qualificati e gli operatori abilitati: non sono accessibili a chiunque.
E’ quindi condizione necessaria che l’applicazione della tecnologia debba essere implementata coerentemente con il modello organizzativo della filiera e non, al contrario, costringere il cambiamento del modello organizzativo della filiera: questo infatti sarebbe un grave errore!
 A questo punto però sorgono due domande fondamentali:
  1. Quale tecnologia utilizzare per la gestione dei dati nel rispetto del modello organizzativo della filiera?
  2. Scelta la tecnologia: quali gli obiettivi, i vantaggi e i rischi nella implementazione della stessa?
Riguardo la tecnologia, è indubbio che quella che sta emergendo è la blockchain, o più genericamente quella dei registri distribuiti (DLT).
La blockchain è certamente utilizzabile come soluzione tecnologica innovativa perchè può valorizzare tutta l’informazione a supporto delle transazioni e delle comunicazioni nell’ambito delle filiere agroalimentari.

Il settore agroalimentare necessita, come già affermato precedentemente, di un modello di blockchain che sia coerente con l’impostazione delle specifiche filiere, con la flessibilità tipica dei ns. operatori, con la protezione delle informazioni gestite e con la originalità e tipicità tutta italiana.
Solo attraverso con una corretta implementazione della blockchain sarà possibile contribuire in maniera efficace alla valorizzazione del rapporto di fiducia fra le parti interessate (aziende, GDO, consumatori e enti istituzionali preposti).

Di seguito si elencano le caratteristiche principali che la blockchain per il settore agroalimentare dovrebbe avere:
  • facilità di applicazione (la blockchain non deve essere un ulteriore “orpello” che si aggiunge a quanto già in essere);
  • flessibilità ovvero possibilità di gestire informazioni diverse, molteplici, variabili nel tempo e in grado di supportare requisiti diversi anche in funzione delle esigenze dei clienti;
  • accessibilità ai dati consentita ai soli soggetti qualificati ed autorizzati dal capofiliera (l’accesso alla blockchain viene deciso dal capofiliera sia in termini di operatori autorizzati / qualificati sia in relazione alle informazioni visualizzabili);
  • interoperabilità fra diverse blockchain (l’implementazione della blockchain deve assicurare il “dialogo” con eventuali altre blockchain di clienti e fornitori senza particolari sforzi e soprattutto senza alcuna duplicazione);
  • possibilità di acquisire informazioni dalle banche dati ufficiali (fascicolo aziendale, registro stalla, SIAN, catasto terreni, ricetta elettronica etc.).
Purtroppo molte informazioni pubbliche sono di difficile reperibilità / consultazione e le imprese sono costrette a mantenere la documentazione cartacea: l’evoluzione verso la tecnologia blockchain (volontaria) delle filiere dovrebbe invece essere parte integrante di una strategia pubblica sul tema – vedi il caso della Germania con l’iniziativa Industrial Data Space.

Riguardo la seconda domanda, è indubbio che l’implementazione della blockchain possa consentire il raggiungimento di alcuni fondamentali obiettivi:
  • semplificazione e dematerializzazione;
  • mitigazione del rischio nell’ambito dei controlli ufficiali per le filiere (soprattutto per gli schemi regolamentati DOP / IGP);
  • semplificazione dei rapporti / gestione dati / evidenze con la grande distribuzione e distribuzione organizzata;
  • supporto alla comunicazione innovativa e alla identificazione (anche in ottica anticontraffazione) dei prodotti;
  • supporto alla certificazione di parte terza e riorganizzazione delle attività di controlli di parte terza (Virtual Audit).
Con riferimento a questo ultimo punto vale la pena ribadire che la blockchain non è in alcun modo uno strumento di “certificazione” del prodotto ma uno strumento di registrazione e gestione delle informazioni. Se si registra una informazione sbagliata rimarrà sbagliata; se si modifica ne resta traccia.
La garanzia della conformità dell’informazione inserita viene data dall’autocontrollo e dal controllo di parte terza. Ci sono informazioni che descrivono la fase agricola / allevamento (es. benessere animale) e che devono necessariamente essere valutate in audit, altre informazioni come i flussi dei materiali possono essere gestiti attraverso la registrazione in blockchain delle transazioni (es. documenti fiscali di vendita / acquisto).

Più in generale i dati qualitativi richiedono in gran parte dei casi un controllo in campo mentre i dati quantitativi potrebbero essere registrati / tracciati con il criterio del mantenimento della catena di custodia e conseguentemente essere garantiti dalle registrazioni basate su documenti ufficiali.
Non è possibile sostenere quindi la tesi che la blockchain sia uno strumento di “certificazione” ma è, invece, uno strumento di grande utilità anche per ripensare il sistema dei controlli che potrebbe evolvere prevedendo l’utilizzo di un processo di certificazione in parte dematerializzato (Virtual Audit ISO 19011:2018) e in parte (ridotta) in campo.

I dati funzionali alla certificazione possono essere qualificati attraverso una piattaforma di parte terza appositamente progettata da CSQA denominata ChoralTrust, che è in grado di acquisire i dati dalla blockchain di ciascun operatore della filiera e di applicare le procedure di controllo sui dati in modalità Virtual Audit.
La soluzione CSQA ChoralTrust permette di ottenere i seguenti vantaggi condivisi con gli operatori delle filiere:
  • semplificare il processo di certificazione;
  • attivare i “Virtual Audit” ottimizzando gli audit in campo;
  • consentire di certificare ogni lotto di prodotto;
  • attivare un sistema di comunicazione innovativo, tempestivo, garantito da ente terzo;
  • consentire l’interoperabilità ed uso di dati certificati non falsificabili;
  • archiviare tutte le informazioni qualificate;
  • accedere a tutte le informazioni in tempo reale, con garanzia di effettuare controlli immediati e mirati;
  • consentire l’accesso ai dati qualificati agli operatori autorizzati dal capofiliera;
  • ridurre i costi legati al controllo formale della documentazione cartacea.
L’altro grande utilizzo dei dati della blockchain è nei riguardi della comunicazione trasparente nei confronti dei consumatori.
 
Anche in questo caso sorgono domande: i consumatori sono sensibili a questo tipo di comunicazione? I consumatori considerano a maggior valore un prodotto “tracciato” dalla blockchain rispetto ad uno “non tracciato”?
 
La risposta corretta sarebbe quella di chiedere direttamente ai consumatori e agli operatori.
 
In effetti recentemente sono pervenuti diversi sondaggi svolti dalle compagnie di ricerca sui mercati internazionali e tutti questi hanno presentato un dato estremamente interessante: oltre il 90% degli operatori del settore agro-alimentare considerano importante o molto importante il fattore tracciabilità nel momento in cui scelgono il fornitore.
 
Concludendo il vero rischio che il sistema agroalimentare può correre è quello di non essere proattivo nei riguardi della blockchain. Utilizziamo quindi la blockchain per difendere il modello organizzativo delle filiere e implementiamo la Food Blockchain a ns. “immagine e somiglianza”.
 
 (A cura di Maria Chiara Ferrarese, CSQA Certificazioni)

[1] Laddove le modalità di identificazione prevedano etichette non manomissibili, non duplicabili etc.
 
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