Eliminare totalmente i pesticidi chimici dall'agricoltura europea? Si può fare, ma a determinate condizioni.
Sono quelle individuate dagli esperti francesi dell'Istituto nazionale di ricerca per agricoltura, alimentazione e ambiente (Inrae).
I risultati dello studio, presentato durante una conferenza a Parigi, potrebbero dettare in concreto le linee guida dell'Unione europea, che nella strategia "Dal campo alla tavola" (Farm to fork) ha proposto di abbattere del 50% l'uso di sostanze chimiche pericolose entro il 2030, ma gli Stati membri di recente sembrano essere riluttanti a perseguire questo obiettivo, temendo gravi ripercussioni commerciali e un crollo delle rese.
Gli esperti sostengono che si possono evitare questi rischi, ma è necessaria una svolta radicale.
Incrocio di lavori
Per realizzare la ricerca l'Inrae ha combinato i contributi di oltre 140 esperti europei, sia scienziati che portatori di interesse, come agricoltori, aziende agroalimentari ed Ong, che hanno realizzato lo studio nel corso di due anni.Una completa eliminazione dei pesticidi chimici è possibile, senza dover ridurre drasticamente la produzione agricola né provocare scossoni commerciali nell'Unione europea. Al tempo stesso si possono contenere gli effetti dei cambiamenti climatici e ripristinare la biodiversità.
Per farlo però è necessario un impegno collettivo, che coinvolga oltre agli agricoltori tutti gli attori della filiera agroalimentare, dai produttori ai consumatori, inclusa la grande distribuzione e gli enti pubblici.
Ma in che modo?
I tre scenari
Lo studio propone 3 scenari di coltivazioni prive di pesticidi chimici, ciascuno con una traiettoria di transizione.Nel primo scenario, definito "Mercato globale", viene immaginata una produzione che ha puntato alla digitalizzazione e alla automazione delle coltivazioni, realizzata soprattutto da grandi aziende specializzate, capaci di esportare a livello globale.
In tal caso l'immunità delle piante, prevedono gli esperti, è stata ottenuta grazie alla commercializzazione di varietà resistenti a parassiti, funghi ed altri bio-aggressori in collaborazione coi giganti delle biotecnologie.
Il secondo scenario è quello dei "Microbiomi sani", in cui per la gestione dei parassiti, le colture e gli alimenti vengono protetti e conservati monitorando attentamente e gestendo il microbioma dal campo alla tavola. Vengono in tal caso promossi cibi che prevedono una lavorazione minima, evitando alimenti ultra-processati, additivi alimentari chimici (compresi i conservanti).
Filiera corta
“Paesaggi nidificati” è invece il terzo scenario, nel quale l'alimentazione sana e sostenibile deriva da una grande diversificazione delle colture, da filiere corte e da una commercializzazione soprattutto su base regionale.La gestione delle malattie delle piante si basa in questo caso "sulla profilassi, sulla conoscenza dei cicli dei bioaggressori e dei patogeni, e sulla regolazione biologica da parte dei microrganismi del suolo e del paesaggio".
Per la gestione delle erbe infestanti, sottolineano gli autori, la strategia consiste nel "trovare un compromesso tra perdite di raccolto e servizi resi al paesaggio".
L'uso di metodi di controllo meccanico o biologico sono utilizzati solo come ultima risorsa o come misura transitoria.
Elementi in comune
Da tutti gli scenari si evince che è necessario innanzitutto modificare la dieta "modello" dei cittadini, attraverso politiche pubbliche e norme precise.Altro elemento chiave per sostenere la transizione è una revisione della Politica agricola comune (Pac) dell'Unione europea che metta a disposizione appositi strumenti economici per facilitare l'eliminazione dei pesticidi, nonché per creare mercati "senza pesticidi chimici" attraverso appositi accordi commerciali.
Alcuni elementi sono caratteristici dei tre scenari:
- diversificazione delle colture,
- lo sviluppo del bio-controllo,
- la scelta di colture e varietà adeguate.
Secondo gli studiosi è importante pure trovare un equilibrio tra la riduzione del consumo di prodotti animali e il mantenimento dei prati.
Impatti diversi a livello climatico
Grazie a delle simulazioni su scala europea e mondiale, l'Istituto di ricerca ha quantificato gli impatti di ogni scenario su vari elementi:- produzione agricola,
- uso del suolo,
- emissioni di gas a effetto serra
- impatto commerciale.
In termini di impatto climatico, tutti e tre gli scenari riducono le emissioni di gas serra: da - 8% (scenario 1) a - 20% (scenario 2) e fino a - 37% (scenario 3).
Comportano inoltre un aumento dello stock di carbonio nei suoli e nelle biomasse, contribuendo così all'obiettivo della neutralità del carbonio nel 2050 per il settore agricolo, così come prefissato dall'Unione europea.
Casi concreti: c'è l'Italia
Lo studio ha analizzato anche dei casi studio in diversi Stati europei, inclusa l'Italia, in cui si è immaginata la produzione di grano duro in Toscana (Italia) nel 2050 nello Scenario 1.In tal caso, il grano duro verrebbe prodotto senza pesticidi chimici, con i prodotti derivati (come la pasta) esportati dalla Toscana in tutto il mondo. Le coltivazioni verrebbero realizzate da grandi aziende agricole specializzate, dotate di tecnologie all'avanguardia che consentono agli agricoltori di lavorare su una scala molto grande, con poca manodopera e ad alta velocità.
In questo modello l'agricoltura di precisione si è diffusa e le attrezzature utilizzate per le operazioni principali (come semina, diserbo meccanico, raccolta ) sono quasi tutte controllate da satellite.
Patto territoriale
Gli altri Paesi analizzati sono Romania, Finlandia e Francia. Per quest'ultima si è immaginato uno sviluppo nel settore vitivinicolo nel territorio di Bergerac-Duras nell'ambito dello scenario 3, dove la transizione agro-ecologica è stata raggiunta mobilitando tutti i soggetti interessati della zona. In tal caso il vigneto è valorizzato per le sue qualità enologiche e ambientali, oltre che per il suo patrimonio culturale."Il mosaico di colture (viti, alberi da frutto, noccioli, cereali, prati) e di habitat seminaturali (siepi, boschetti, fasce fiorite, zone umide) crea paesaggi complessi e resilienti, in grado di regolare le popolazioni di parassiti", si legge nello studio.
A livello commerciale si è immaginato un contratto sociale che lega gli attori del territorio (viticoltori, produttori di vino, cooperative, autorità locali e associazioni di residenti) attorno allo stesso progetto territoriale. (Fonte: Alessia Capasso, https://www.agrifoodtoday.it/)