Grazie ad una straordinaria capacità aggregativa, unita alla propensione per il lavoro di squadra e ad una grande facilità nel comunicare in modo chiaro e diretto le sue idee Mauro Rosati, dal 2000 si è dedicato alla realizzazione del progetto Qualivita, il cui principale scopo statutario risiede nella tutela e valorizzazione dei prodotti a denominazione di origine. Nel volgere di pochi anni, Qualivita assurge al ruolo di fondamentale punto di riferimento internazionale nel settore dell’agroalimentare di qualità ed in particolare quello delle Indicazioni Geografiche. Il tutto grazie alla capacità di inventarsi un nuovo modo di comunicare l’agricoltura e ad una serie di progetti innovativi che sono stati realizzati in modo estremamente positivo, al punto da superare l’endemica diffidenza dei molti addetti ai lavori nei confronti di realtà di questo genere. Una delle più felici intuizioni di Rosati, che attualmente ricopre l’incarico di Direttore Generale della Fondazione, è stata quella di comprendere che il mondo dell’agroalimentare di qualità non andava circoscritto ai prodotti di nicchia, di sicuro appeal ma di modesto impatto economico; a questi andavano aggiunte anche quelle realtà capaci, pur mantenendo alti standard qualitativi, di rivolgersi ad un pubblico vasto, garantendo distribuzione capillare e costi sostenibili.
Qualivita è stata presieduta dal 2002, anno della sua costituzione, al 2006 da Paolo de Castro che lasciò l’incarico per la nomina a Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali durante il Governo Prodi. In quel periodo Rosati fu nominato Consigliere del Ministro per le politiche della qualità, dimostrandosi, anche in quella veste “politica”, sempre molto attento nel cercare di contribuire ad elevare la conoscenza istituzionale-imprenditoriale del ruolo delle politiche della qualità quale fondamentale leva di sviluppo del sistema agroalimentare. A dimostrazione dell’importante supporto fornito al settore dell’agroalimentare di qualità, nel 2014 arriva anche un’importante nomina da parte del Ministro che agricole Maurizio Martina, Rosati diventa infatti Consigliere del Ministro per le politiche di valorizzazione e tutela dei prodotti agroalimentari e per le politiche digitali per la tutela del made in Italy agroalimentare. Nel 2020 pubblica il nuovo Atlante Qualivita edito da Treccani che presenta anche al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un incontro ufficiale al Quirinale per i 20 anni di attività della Fondazione Qualivita.
L’agroalimentare è uno degli asset principali e strategici dell’economia italiana. Che momento sta vivendo anche alla luce delle criticità internazionali e dopo gli anni della pandemia?
C’è un grande risveglio, in Italia fioriscono numerose iniziative che hanno come punto di unione il cibo e il vino: le aperture di molte attività ristorative, l’interesse dei fondi di investimento internazionali per le aziende italiane dell’agrifood, il ruolo centrale nelle politiche europee con il Farm to Fork e il PNRR, tanto per citare alcuni esempi. Le nuove sfide globali sono numerose ed eterogenee, dai cambiamenti climatici alle etichette di health warning, dalle nuove esigenze di consumo fino ai mutati scenari politici internazionali e alla concorrenza sleale sui mercati, ma il nostro sistema agroalimentare ha tutte le carte in regola per affrontarle. In particolare il comparto della Dop economy, con il nuovo testo unico sulla qualità appena approvato in Europa, può fare da traino alle quasi 900 Indicazioni Geografiche del Paese consolidando un modello tutto italiano.
Quale è a suo giudizio il ruolo del vino e cosa suggerirebbe ai vitivinicoltori italiani?
I viticoltori italiani non hanno bisogno di suggerimenti. A partire dagli anni Novanta hanno tracciato un’esperienza unica nel panorama internazionale, in un settore che dopo lo scandalo del 1986 relativo al metanolo veniva dato quasi per morto e che ha saputo invece reinventarsi in una chiave di qualità, costituendo il caposaldo del successo di tutto il made in Italy nel mondo. Più della moda e della meccanica, l’agroalimentare, e in particolare il comparto del vino, ha saputo rappresentare l’Italia in tutti i suoi aspetti migliori. All’interno delle numerose sfide che il settore vitivinicolo si trova oggi a fronteggiare ritengo prioritarie quelle che riguardano i cambiamenti climatici e i mutamenti del mercato nazionale e internazionale. In questo contesto la ricerca scientifica rappresenta uno strumento fondamentale per analizzare i dati reali e trovare le soluzioni. Nel corso del tempo, le università italiane hanno prodotto, producono e devono continuare a produrre una gran mole di studi sulle Indicazioni Geografiche, con risultati e applicazioni rilevanti per il sistema. È importante che i viticoltori forniscano gli stimoli giusti al mondo della ricerca per sostenere l’evoluzione delle filiere e la loro innovazione qualitativa, chiave del successo del futuro. Per realizzare questo processo bisogna essere più coesi e pensare in una logica di sistema. Per questo motivo alle aziende del vino posso soltanto suggerire di credere e investire di più sui Consorzi di Tutela che, se ben strutturati, sono in grado di portare avanti un lavoro unico: coordinare lo sviluppo, facendo sintesi nella risoluzione dei problemi e nell’individuazione di nuove opportunità. Non c’è concorrenza tra brand aziendale e Indicazioni Geografiche, anzi c’è complementarità. Su questa strada il mondo del vino dovrebbe dare dei segnali nuovi. Questa sì, sarebbe una bella innovazione. Un’ulteriore riflessione da fare è legata alle 527 denominazioni riconosciute nel comparto vino italiano. Sono troppe considerando che solo la metà di queste ha realmente un fatturato significativo.
Cosa significa e come si interpreta un’agricoltura di qualità?
In questi ultimi decenni il concetto di qualità ha significato molte cose, soprattutto nel settore agroalimentare. Al di là della definizione che si legge nei manuali accademici, la qualità va saputa interpretare rispetto al contesto, al prodotto e soprattutto al territorio. Ritengo che oggi fare qualità voglia dire anche creare cultura, oltre ad abbracciare il concetto di sostenibilità. Le cantine, il vino e soprattutto le aziende nel loro complesso possono essere la porta di accesso alla natura e alla comprensione di quel senso civico di rispetto dell’ambiente e del territorio. Ecco, la qualità è questo: oltre a creare vini buoni, occorre produrre con valori buoni
Quale è il ruolo e di cosa si occupa la Fondazione Qualivita? Ricordiamo la recente pubblicazione dell’Atlante 2024. All’interno cosa trova il lettore?
Fondazione Qualivita è un’organizzazione culturale e scientifica nata nel 2000 per valorizzare i prodotti agroalimentari e vitivinicoli di qualità e sostenuta da 4 soci fondatori: Origin Italia, Csqa, Agroqualità e Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. La sua missione è garantire al sistema delle Indicazioni Geografiche supporto attraverso progettualità che si attuano in diversi settori di intervento: valorizzazione, formazione, editoria, ricerca, innovazione, networking. Per fare questo abbiamo sviluppato un metodo di lavoro basato su un sistema di elaborazione, monitoraggio, archiviazione delle informazioni del settore agroalimentare. Attraverso un approccio multi-ambito, interagiamo e condividiamo aggiornamenti, dati, analisi di settore con le comunità professionali che operano nel comparto delle DOP IGP italiane favorendo i processi di conoscenza e la crescita delle competenze. L’Atlante Qualivita 2024, giunto alla sua dodicesima edizione, è l’ultimo sforzo in ordine temporale della Fondazione che raccoglie e racconta attraverso un corpus enciclopedico l’identità del patrimonio agroalimentare italiano rappresentata dagli 887 prodotti a Indicazione Geografica nazionali tutelati a livello europeo. Nell’opera, la terza edita da Treccani, ognuna delle eccellenze tutelate del cibo, del vino e delle bevande spiritose nazionali viene descritta dettagliatamente attraverso informazioni su territorio di origine, metodo di lavorazione, storia, normative, caratteristiche nutrizionali e organolettiche e modalità di commercializzazione. Nella nostra ottica è innanzitutto uno strumento culturale e scientifico di educazione agroalimentare, col quale vogliamo offrire un’informazione aggiornata e rigorosa sul settore della qualità agroalimentare italiana certificata.
Cosa ci dobbiamo attendere tra 10-15 anni dall’agricoltura italiana e internazionale?
I recenti fenomeni in Italia, come le alluvioni della Romagna e della Toscana, sono solo gli ultimi allarmi in ordine cronologico. Ci ricordano ancora una volta che qualcosa sta cambiando davvero nell’assetto del clima e in generale nella natura. In un contesto così instabile fare previsioni per il futuro diventa difficile perché la velocità del cambiamento climatico è impressionante. La cosa certa è che serve un’alleanza ancora più forte fra il mondo del vino e quello agroalimentare soprattutto nel settore delle Indicazioni Geografiche. C’è complementarietà sia nel territorio che nei mercati. Questo è quello che serve per disegnare un nuovo futuro agricolo italiano.
L’agroalimentare è un mondo per giovani?
Nonostante gli sforzi fatti in questi anni dalle imprese e dalle istituzioni per attrarre i giovani verso il mondo agricolo, i dati sono ancora poco incoraggianti. Sicuramente il settore gode di una mutata attrattività rispetto agli anni passati, quando era un vero e proprio tabù. In Italia il comparto del vino e in particolare le professioni come quella dell’enologo racchiudono la capacità di farsi portavoce della cultura agroalimentare. Il loro saper fare sintesi fra la terra e le istanze del consumatore, elaborando e raccontando vini che fanno invidia a tutto il mondo, è una delle migliori leve per attrarre le nuove generazioni al lavoro in campagna. Anche il fascino dell’enoturismo ha contribuito a rendere più interessante la pratica agricola. Ad oggi, tuttavia, assistiamo a una continua perdita di manodopera nel settore. Secondo dati Inps nel 2022 i lavoratori agricoli dipendenti sono diminuiti del-2,5% e quelli autonomi del -1,3%. È segno che abbiamo ancora molto da fare per consolidare il comparto anche in termini occupazionali. Forse ci occupiamo tanto della tutela del made in Italy e troppo poco di quella dei lavoratori.
Fonte: L’Enologo