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Sostenibilità, l’incertezza normativa spinge le certificazioni volontarie

Dopo gli sviluppi UE sui temi Esg, la ricerca di una leva di competitività

Sostenibilità, l’incertezza normativa spinge le certificazioni volontarie
Sostenibilità, l’incertezza normativa spinge le certificazioni volontarie In attesa di un quadro normativo stabile e meno burocratico sulla sostenibilità - cui la Ue sta lavorando a partire dal pacchetto Omnibus di semplificazioni presentato dalla Commissione il 26 febbraio -, le imprese punteranno sempre di più sulle certificazioni.

«Le aziende si trovano ad affrontare un periodo di incertezza normativa sui temi della sostenibilitàcommenta Daniele Pernigotti, esperto tecnico di Accredia, l’ente italiano di accreditamento -. Ma se la parte cogente è incerta, non possono permettersi di aspettare e si stanno portando avanti con le certificazioni volontarie».

Quadro europeo complesso

Del resto, il quadro normativo europeo emerso ad esempio sulla rendicontazione di sostenibilità si è fatto negli ultimi anni complesso.
Prima sono stati rilasciati i nuovi standard europei, obbligatori per chi è soggetto a compliance, Esrs (European sustainability reporting standards).

Poi è arrivata la Csrd (Corporate sustainability reporting directive) e l’estensione dell’obbligo di rendicontazione di sostenibilità a un’ampia schiera di imprese.

Ora però il pacchetto Omnibus ne cambia la portata, sollevando l’80% delle imprese da questi obblighi ma creando incertezza fino all’approvazione del Parlamento e del Consiglio e al recepimento nazionale.

«Sollevare in particolare le Pmi dagli obblighi di rendicontazione obbligatoria di sostenibilità, rendendola volontaria e soggetta allo standard semplificato Vsme (Voluntary sustainability reporting standard) è sicuramente un sollievo sotto il profilo della compliance - spiega Laura Martiniello, professore ordinario dell’Università Mercatorum e coordinatrice dei corsi di Esg management del Sole 24 Ore Formazione -.
Ma non le esenta dalla necessità di rimanere sul mercato puntando sulla sostenibilità come leva strategica di competitività, per distinguersi e lavorare con i grandi clienti e gli istituti di credito, che comunque continueranno a chiedere anche alle Pmi i dati Esg per la loro compliance».

Le aziende, intanto, si portano avanti con le certificazioni che danno un bollino di qualità ai loro processi e a qualche aspetto del loro impegno sulla sostenibilità ambientale e sociale.

Tutte in forte crescita: l’Italia infatti si conferma prima in Europa e seconda al mondo per numero di certificazioni attive, percepite come una leva competitiva per efficientare i processi.

E le prime quattro riguardano proprio alcune dimensioni della sostenibilità.
La Uni En Iso 9001 relativa ai sistemi di gestione della qualità è la più diffusa nel nostro Paese, con oltre 138mila siti certificati (+5% rispetto a ottobre 2023) e supporta le aziende con l’obiettivo di migliorare l’efficacia e l’efficienza dei processi.

La seconda certificazione più diffusa, la Uni En Iso 14001 relativa ai sistemi di gestione ambientale copre invece la “E” (environment) degli Esg e ha visto una crescita a doppia cifra nell’ultimo anno (+12%, con oltre 42mila siti certificati) . «Si tratta – spiega Pernigotti di Accredia - di uno standard che accompagna le imprese ad affrontare la sostenibilità come percorso e non come obiettivo, con un focus non sul prodotto o servizio ma sul processo tramite il quale l’organizzazione tiene sotto controllo gli impatti ambientali delle proprie attività, e ne ricerca sistematicamente il miglioramento in modo coerente, efficace e soprattutto sostenibile. Un ecosistema che richiama il concetto di catena del valore rafforzato dalla direttiva Csddd (Corporate sustainability due diligence directive)».

Quanto alla sostenibilità sociale, le altre due certificazioni più diffuse riguardano la salute e sicurezza sul lavoro (la Uni Iso 45001 in crescita del 18% in un anno con 38mila siti certificati) – e la parità di genere (basata sulla Uni/Pdr 125, che ha registrato un record di certificazioni: +136%, con oltre 19mila siti certificati).

«Le aziende utilizzano le certificazioni per sistematizzare l’impegno sui diversi ambiti – conclude Pernigotti - e questo le rende più efficienti e le qualifica sul mercato».

Le certificazioni delle professioni

Un altro capitolo è quello delle certificazioni delle professioni non organizzate in ordini o collegi.

Sul tema della sostenibilità, oggi è possibile certificare cinque profili di Sustainability manager, auditor, practitioner, Sdg Action manager ed Sgd user, in base alla Uni/Pdr 109.

Certificazioni che richiedono crediti formativi, in alcuni casi esperienza pregressa e sempre il superamento di un esame scritto e orale erogato da un ente certificatore accreditato su questa norma.
Sono 68 i sustainability manager, 39 gli Sdg action manager, 17 gli auditor e 8 i pratictioner della sostenibilità certificati. (Fonte: Anna Zavaritt, https://www.ilsole24ore.com/)
 

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